Di cosa stiamo parlando?
Dopo l’approvazione della Riforma “Fornero” del 2011, con cui veniva introdotto l’art. 24, comma 4, D.L. 201/2011, con il quale veniva stabilito che il proseguimento dell’attività lavorativa, una volta maturato il diritto alla pensione di vecchiaia (ovvero 67 anni) è incentivato fino all’età di 71 anni (per beneficiare dei coefficienti di trasformazione più elevati, all’aumentare dell’età.) ci si è trovati di fronte ad una specie di “cortocircuito” con l’art. 4 della Legge 108/1990 in quanto, tale articolo prevede che il lavoratore che abbia 67 anni di età, possa essere liberamente licenziato dal datore di lavoro. Successivamente, la Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 17589/2015 ha stabilito che la riforma Fornero del 2011 non ha attribuito al lavoratore un diritto potestativo per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né ha consentito allo stesso di scegliere tra la pensione o la continuazione del rapporto, ma ha previsto solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di 71 anni e oltre, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore. La norma in esame, quindi, ha permesso che sia possibile continuare l’attività lavorativa dopo i 67 anni, solo tramite accordo con il datore di lavoro (questa regola vale solo per il settore privato).
Licenziamento per diritto alla pensione di vecchiaia
Lavoratore iscritto ad una forma di previdenza obbligatoria prima di gennaio 1996
Settore privato
Il dipendente che raggiunge il diritto alla pensione di vecchiaia, ovvero abbia compiuto 67 anni di età (entro il 31.12.2026 in quanto dal 01.01.2027 scatta l’eventuale adeguamento in base all’aspettativa di vita), unitamente al requisito contributivo di almeno 20 anni, può essere licenziato ad nutum dal datore di lavoro (art. 4 della L. 108/1990 e Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite numero 17589/2015). Non occorre quindi che vi sia una giusta causa o un eventuale giustificato motivo, oggettivo o soggettivo per cessare il rapporto di lavoro (Cassazione civ. Sez. lavoro Ord. 24 gennaio 2022, n. 2010).
Se il lavoratore prima del compimento dei 67 anni di età chiede di poter continuare l’attività lavorativa (l’esercizio di tale facoltà deve essere comunicato al datore di lavoro almeno sei mesi prima della data di conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia) ed il datore di lavoro acconsente di fatto o con comportamenti concludenti, il rapporto prosegue e continua ad essere regolato dalla tutela “reale” ovvero non è più possibile recedere il rapporto di lavoro ad nutum fino a 71 anni di età (Corte di Cassazione, sentenza n. 17589 del 4 settembre 2015). Oltre tale età (71 anni fino al 31.12.2026), vi è la libera recedibilità del rapporto di lavoro.
Settore pubblico
Nel settore del pubblico impiego una volta raggiunti i requisiti per la pensione di vecchiaia, ovvero 67 anni di età (entro il 31.12.2026 in quanto dal 01.01.2025 scatta l’eventuale adeguamento in base all’aspettativa di vita), unitamente al requisito contributivo di almeno 20 anni, l’amministrazione pubblica ha l’obbligo di cessare il rapporto di lavoro. Per la determinazione dei periodi utili al raggiungimento della pensione, deve essere considerata tutta l’anzianità contributiva accreditata (non solo quella versata presso la gestione ex Inpdap). Scarica la Circolare della Funzione Pubblica n. 2/2015
Attenzione
Oltre il raggiungimento dell’età necessaria per la pensione di vecchiaia (67 anni fino al 31.12.2024) il rapporto di lavoro non può continuare ad eccezione del caso in cui il lavoratore non abbia maturato i 20 anni di contributi. Infatti, in tale caso è prevista la possibilità di proseguire nel lavoro fino a 71 anni di età per consentire al lavoratore di perfezionare il requisito contributivo utile per la pensione di vecchiaia, ovvero 20 anni di contributi (5 anni per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31.12.1995).
Il trattenimento in servizio nel settore pubblico
L’art. 1 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014 n. 114 ha abrogato l’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 503 che disciplinava il trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici anche successivamente alla maturazione dei requisiti pensionistici. Con tale disposizione si è voluto favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale delle pubbliche amministrazioni prevedendo la risoluzione obbligatoria del rapporto di lavoro al momento della maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia. La possibilità di rimanere in servizio è stata, quindi, definitivamente soppressa. L’art. 1 del d.l. n. 90/2014 citato ha, altresì, riformulato l’art. 72 del d.l. n. 112/2009 convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008 ridefinendo l’ambito della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte della Pubblica Amministrazione. Viene lasciata, infatti, alla determinazione dell’amministrazione, con riferimento alle esigenze organizzative dell’ente e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, la risoluzione del rapporto di lavoro, anche del personale dirigenziale, al decorrere della maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento anticipato come rideterminato dall’art. 24, commi 10 e 12 del d.l. n. 201/2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 214/2011.
Chi può lavorare fino a 70 o 72 anni nel pubblico impiego?
Possono continuare la loro attività lavorativa fino al compimento del 70° anno di età i professori universitari, gli avvocati, procuratori dello stato ed i magistrati. Possono lavorare fino a 72 anni i dirigenti medici, sanitari e infermieri.
Licenziamento per diritto alla pensione di vecchiaia
Lavoratore iscritto ad una forma di previdenza obbligatoria dopo dicembre 1995
Settore privato e pubblico
Per i lavoratori che non hanno contribuzione alla data del 31 dicembre 1995, troviamo due pensioni di vecchiaia con requisiti diversi:
Pensione di vecchiaia 1
- 71 anni di età
- 5 anni di contributi da lavoro effettivo
Pensione di vecchiaia 2
- 67 anni di età
- 20 anni di contributi
- Importo soglia pari all’assegno sociale annualmente rivalutato
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Come si evince dai requisiti di cui sopra, il lavoratore per poter chiedere la pensione a 67 anni di età e con almeno 20 anni di contributi, deve raggiungere anche un importo soglia pari all’assegno sociale. Una “conditio sine qua non” ovvero un requisito indispensabile al raggiungimento del requisito. In questo specifico caso appare inverosimile la possibilità di licenziare il lavoratore a 67 anni di età, non avendo quindi certezza del diritto alla percezione della pensione. Finché il datore di lavoro non avrà anche la possibilità di conoscere se il lavoratore supera tale soglia (aggiornamenti procedure Inps) e non l’importo chiaramente, l’unica possibilità di licenziamento “ad nutum” risulta a 71 anni di età. Questo vale sia per il settore privato che pubblico.
Risoluzione del rapporto per limiti di età e preavviso
Nel settore pubblico, il licenziamento per raggiunti limiti di va comunicato senza erogare l’indennità di mancato preavviso. Nel settore privato invece:
- se nel CCNL di riferimento applicato al lavoratore sussiste una clausola di risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia, l’azienda non è tenuta ad applicare il preavviso (Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 24/01/2017 n. 1743).
- Nel caso in cui invece il CCNL non sancisca tale fattispecie, l’azienda può interrompere il contratto di lavoro nel mese in cui il lavoratore compie l’età pensionabile (67 anni fino al 31.12.2026) pagano l’indennità sostitutiva del preavviso (Cassazione sentenza numero 521 dell’11 Gennaio 2019).
Cos’è il licenziamento ad nutum (Libera recedibilità)
In attuazione del principio del “favor lavoratoris”, in generale il licenziamento deve essere motivato, ossia sorretto da giusta causa o giustificato motivo. Tuttavia, in casi eccezionali e circoscritti, è ammesso che il datore di lavoro possa intimare il licenziamento senza dover indicare alcuna motivazione e senza osservare alcuna formalità procedurale. Si tratta dell’ipotesi del licenziamento ad nutum che ha un ambito di applicazione limitato a determinate tipologie contrattuali:
- lavoratori domestici (art. 4, c. 1, Legge n. 108/1990);
- lavoratori in prova (art. 10, Legge n. 604/1966). In tale ipotesi il recesso “ad nutum” è limitato al periodo di prova e non è previsto alcun preavviso;
- atleti professionisti (Legge n. 91/1981);
- apprendisti al termine del periodo formativo;
- lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici di vecchiaia (art. 4, Legge n. 108/1990).
Licenziamento per diritto alla pensione anticipata
Lavoratore iscritto ad una forma di previdenza obbligatoria prima di gennaio 1996
Settore privato
Per i dipendenti del settore privato non è possibile recedere il rapporto di lavoro unilateralmente in caso in cui il lavoratore abbia maturato il requisito per un qualsiasi trattamento di pensione anticipato rispetto alla pensione di vecchiaia.
Settore pubblico
Nel settore pubblico, qualora il lavoratore abbia raggiunto i requisiti per la pensione anticipata (ovvero 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne) può essere collocato a riposto a discrezione dell’ente (articolo 1, comma 5 decreto legge 90/2014) qualora ciò risponda a specifiche esigenze dell’ente. In tal caso la risoluzione deve essere motivata al destinatario con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta adottati e può essere esercitata solo nei confronti dei lavoratori che abbiano raggiunto il requisito contributivo per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi se uomini o 41 anni e 10 mesi se donne). In questo caso è necessario comunicare il recesso rispettando il preavviso contrattuale. Nel caso in cui il lavoratore oltre al requisito contributivo, abbia raggiunto anche i 65 anni di età, è obbligo dell’amministrazione collocare a risposto il dipendente (tale obbligo non si applica nei confronti dei lavoratori che hanno i requisiti per la pensione anticipata quota 100, quota 102 o quota 103).
Scarica il parere del Dipartimento Funzione Pubblica del 04/03/2021
Attenzione
Non è possibile far cessare unilateralmente il rapporto di lavoro prima del compimento dell’età anagrafica per il raggiungimento della pensione di vecchiaia per i dirigenti medici e sanitari del SSN responsabili di struttura complessa, magistrati, personale difesa e soccorso pubblico e professori universitari. Invece nei confronti dei dirigenti medici e sanitari del SSN non responsabili di struttura complessa la risoluzione può essere esercitata ove al requisito contributivo (cioè a 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini, 41 anni e 10 mesi se donne) sia stata raggiunta anche l’età anagrafica di 65 anni.
Licenziamento per diritto alla pensione anticipata
Lavoratore iscritto ad una forma di previdenza obbligatoria dopo dicembre 1995
Per i lavoratori che non hanno contribuzione alla data del 31 dicembre 1995, troviamo due pensioni anticipate ordinarie con requisiti diversi:
Pensione anticipata 1
- 42 anni + 10 mesi di contributi per gli uomini
- 41 anni + 10 mesi di contributi per le donne
- 3 mesi di finestra
Pensione anticipata 2
- 64 anni di età
- 20 anni di contributi
- Importo soglia pari a 3 volte l’assegno sociale (ridotto a 2,8 volte per le donne con un figlio; ridotto a 2,6 volte per le donne con due o più figli)
- 3 mesi di finestra
Settore privato
Per i dipendenti del settore privato non è possibile recedere il rapporto di lavoro unilateralmente in caso in cui il lavoratore abbia maturato il requisito per un qualsiasi trattamento di pensione anticipato rispetto alla pensione di vecchiaia.
Settore pubblico
In questo caso valgono le stesse regole previste per i lavoratori assicurati prima di gennaio 1996.